Mi chiamo Henri Aselmet e il vino, per me, è un’eredità di famiglia. Negli anni ’80 mio nonno Renato fu presidente dell’Associazione Viticoltori di Villeneuve: fu lui a iniziare una lenta rivoluzione che, anni più tardi, grazie agli insegnamenti del canonico Joseph Vaudan, contribuì a cambiare il volto e la qualità dei vini valdostani. Mio padre Giorgio Anselmet, titolare di Maison Anselmet, fa parte di quella “seconda ondata” di vigneron valligiani che, sul finire degli anni ’90, hanno creduto nel valore delle varietà autoctone, facendone conoscere il potenziale espressivo in tutto il mondo.
Poco più di 6 ettari lungo la Dora Baltea nel cuore della Valle d’Aosta, per una produzione che non supera le 20 mila bottiglie.
La Plantze è il sogno di una cantina libera dalle regole e dai condizionamenti. Qui non sono i protocolli a dettare le regole, ma la voglia di sperimentare e di mettersi in gioco secondo un’innata curiosità di produrre vino in Valle d’Aosta per intrepidi e curiosi degustatori. Parlare di vitivinicoltura sull’arco alpino, da qualche anno a questa parte, è parlare di pinot grigio, vitigno tra i più piantati in assoluto. In Valle d’Aosta, però, questo vitigno non è una moda, ma una presenza sul territorio secolare, incensata e raccontata come uva di altissimo pregio. La prima fatica bianchista di Henri va proprio a intersecarsi tra questi due mondi, la voglia di coltivare un’uva che in Valle ha trovato un suo genius loci, declinandola secondo la sua idea di pinot grigio: aromatico, ovviamente, ma anche lungo, aristocratico, pienoEnoteca: 9:00-12:30 | 15:30-19:30
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